Elsinore- Kronemborg slot-Denmark

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A vederlo  così sotto la neve  il quadro dalle drammatiche proporzioni sembra addolcirsi: il lago completamente ghiacciato e le guglie striate di bianco quasi confondono le idee.

                                                Di verde dorme l’aria ( Ophelia 2012 )

Di verde dorme l’aria, per coperta
verdi le fronde dei saliceti
fine sabbia di lavagna s’inarca a curva stretta
rimugina fra i denti
il buio che improvviso  assale
il già dolente scheletro del fiume.

Mi so come quell’acqua di cancrena

così logora dai sassi che spezzano la sua lena.

Di buio dorme l’aria

morsa dai falò a ponente

cade l’acqua con lo stesso vestito di sempre

una luna gitana in oramai trascorsi d’amore

langue fuori

in voci e lingue rotte

non resta in piedi che il silenzio della notte.

Vi ho già detto

di lasciarmi quieta in questo prato d’acqua

a piangere di luna

con sospese sulla veste

macchie d’inchiostro e di creta bruna.

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.

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L’aria fredda si fa strada dal braccio di mare che separa la Danimarca dalla Svezia, nel punto più stretto del Baltico, spesso squassate da grandi tempeste per le correnti del mare del nord che qui s’incrociano

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il castello di Kronborg, ad Helsingør, ( in italiano Elsinore ) conosciuto universalmente come il luogo dove Shakespeare ambientò una delle sue tragedie più famose  frederiksborg-large                                           il castello del Principe Amleto/ cliccare x ingrandire

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è a tutti gli effetti uno dei più importanti monumenti della Danimarca, tra i più bei castelli dell’Europa del Nord, rilevante esempio di architettura rinascimentale inserito nei patrimoni dell’umanità dall’Unesco nel 2000.

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cronache storiche:

si deve al re Erik di Pomerania, la nascita dell’antico borgo fortificato di Krogen, intorno al XV secolo, e del famigerato Dazio del Sund che ciascuna nave avrebbe dovuto pagare per il passaggio dello stretto (sund), dal quale i successori trassero sempre gran beneficio al punto di rendere possibile la costruzione della futura Kronborg

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Con Federico II si ampliarono le fortificazioni e nel 1577 prese vita quell’impianto difensivo ribattezzato Cronenorg, ossia il castello di Kronborg. Data cruciale per le sorti del luogo fu il terribile incendio che nel 1629 distrusse quasi totalmente il castello e che comportò le successive ingenti ristrutturazioni volute da Cristiano IV al fine di ridare vita e splendore a quello che doveva continuare ad essere il simbolo del potere reale danese.

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A tal fine Cristiano IV decise di raddoppiare il dazio del Sund (tassa che venne abolita soltanto nel 1857 sotto la pressione degli Stai Uniti d’America) dando la propria impronta decisiva per gli interni e lasciando, invece, che gli esterni fossero ricostruiti senza grande variazioni. E’ in questa veste che oggi il castello giunge a noi.

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. Ma i danesi preferiscono raccontare di Holger Danske, il “loro” eroe la cui statua fiammeggiante in bronzo trova spazio negli atri bui delle “Casematte” del castello.

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La leggenda vuole che se mai un giorno la Danimarca si trovasse in pericolo, Ogiero il Danese (Holger Danske) si solleverebbe per difenderla. Nell’attesa, riposa a braccia conserte nel “luogo protetto nel buio” delle Casematte ossia quel sistema di vani, antri e cunicoli dove abitavano i soldati in tempo di guerra

holger-danske-kronborg

kronborg-statua-di-holger-danske_90356_407x229 Il mito di questo eroe nazionale che riposa nel castello di Kronborg sembra appartenere ad un ciclo di leggende collegate alla saga di Re Artù e i Cavalieri della Tavola Rotonda e sembra aver avuto un ruolo di grande importanza nella coscienza nazionale danese fino al XX secolo. Con buona pace di Shakespeare, dunque, il castello di Amleto per i danesi rimane sempre il castello di Holger.

5124483To be, or not to be, that is the question:
Whether ’tis nobler in the mind to suffer
The slings and arrows of outrageous fortune,
Or to take arms against a sea of troubles,
And by opposing end them? To die, to sleep…
No more, and by a sleep to say we end
The heartache and the thousand natural shocks
That flesh is heir to: ’tis a consummation
Devoutly to be wished. To die, to sleep.
To sleep, perchance to dream. Ay, there’s the rub,
For in that sleep of death what dreams may come
When we have shuffled off this mortal coil
Must give us pause. There’s the respect
That makes calamity of so long life,

Amleto (The Tragedy of Hamlet, Prince of Denmark) è una delle tragedie shakespeariane più conosciute e citate. Fu scritta probabilmente tra il 1600 e l’estate del 1602. È tra le opere più frequentemente rappresentate in quasi ogni paese occidentale, ed è considerata un testo cruciale per attori maturi.

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Il soliloquio di Amleto “essere o non essere” (Atto III, scena I), il passaggio più famoso del dramma, vanta un’immensa gamma di interpretazioni sui palcoscenici di tutto il mondo, anche se spesso questo soliloquio viene erroneamente citato accanto all’immagine di Amleto che tiene in mano un teschio: in realtà la scena del teschio è nella parte finale del dramma (Atto V, Scena I) e non ha niente a che vedere con “Essere o non essere”, che si trova nella parte centrale (Atto III

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la Chiesa, tutt’ora funzionante per matrimoni, battesimi e per la messa. Consacrata nel 1582, è l’unico ambiente originale del castello, sopravvissuto all’incendio. Alle pareti, gli arredi finemente intagliati restituiscono l’idea dell’intensità cromatica che gli interni di Kronborg dovevano avere al tempo di Federico II.

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Oggi è possibile ammirare, tra gli altri ambienti pregevoli del castello, la Sala del Re e della Regina

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per ultimo ho voluto lasciare il mio pensiero per la dolce Ofelia, da una vasta iconografia ho scelto alcuni dipinti, questo è lo studio per il celeberrimo quadro di Millais del 1852, dove il volto esprime tutta la tragicità della morte

Elsinore

Qui,
 l’ombra inquieta del Principe Amleto
 pasce antichi rancori
 meditando sul teschio ghignante,
 s’aggira stranito
a profanare misteri.
Non visione soave, bionda  d’Ofelia,
rischiara il ferale maniero
lei sorge dallo stagno
bluastra, gonfia.
Odore dolciastro di sangue
 ancora l’olfatto annusa
  s’annida viscida la Morte tra le pietre
  incupisce l’anima
mi viene solo voglia di uscire al sole
 di fuggire, dimenticare
sognare
morire…forse
 
Ventisqueras
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Abbracciami.

Così disse il fiume.

Il mantello virato di verde

E chiome rossastre

Adagiate sul velo dell’acqua.

Velluto di muschio

Dolce carezza d’amante.

Eterna mi stendo

Sul greto di sassi e foglie

. Come la Luna respiro la notte

DAVEDOMUS

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Sogna con me disse l’acqua

velando d’azzurro gli occhi

e canta una canzone senza voce

né tempo

né pianto di  fiori e foglie

che tutto quello che esiste

passa e le memorie nasconde

Ventisqueras

leopold burthe 1851
entrando nelle buie  casematte sentivo alitarmi intorno strane presenze, non è la prima volta che mi capita, certo suggestionata dal ricordo della recente rilettura della tragedia shakespiriana, ma ho dovuto accelerare il passo e uscire in fretta…
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C’è un salice che cresce di traverso a un ruscello e specchia le sue foglie nella vitrea corrente; qui ella venne, il capo adorno di strane ghirlande di ranuncoli, ortiche, margherite e di quei lunghi fiori color porpora che i licenziosi poeti bucolici designano con più corrivo nome ma che le nostre ritrose fanciulle chiaman “dita di morto”; ella lassù, mentre si arrampicava per appendere l’erboree sue ghirlande ai rami penduli, un ramo, invidioso, s’è spezzato e gli erbosi trofei ed ella stessa sono caduti nel piangente fiume. Le sue vesti, gonfiandosi sull’acqua, l’han sostenuta per un poco a galla, nel mentre ch’ella, come una sirena, cantava spunti d’antiche canzoni, come incosciente della sua sciagura o come una creatura d’altro regno e familiare con quell’elemento. Ma non per molto, perché le sue vesti appesantite dall’acqua assorbita, trascinaron la misera dal letto del suo canto a una fangosa morte. »Shakespeare
artur prince spear 1926
Ofelia
Sull’acqua calma e nera, dove dormono le stelle,
come un gran giglio ondeggia la bianca Ofelia,
ondeggia lentamente, stesa fra i lunghi veli…
– Dalle selve lontane s’odono grida di caccia.
Son più di mille anni che la triste Ofelia passa,
bianco fantasma, sul lungo fiume nero.
Son più di mille anni che la sua dolce follia
mormora una romanza alla brezza della sera.
tratta dalla poesia a lei dedicata da Rimbaud, scritta a soli 17 anni
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