Le torri del Vajolet
Speroni arditi
faraglioni emersi
dal dolomitico mare
onde gigantesche a increspare i monti,
riverberi antichi raggrumati
in suoni silenziosi
premono sulla bocca
in Bellezza a soffocarmi di pallidi stupori.
L’aria di cristallo che respiro
si fa ago di luce nei polmoni, lenta
languente
scende
con la notte in strepitii stellati.
Circa 233-232 milioni di anni fa nel periodo Ladinico superiore dove ora sorge la catena delle Dolomiti c’era un quieto arcipelago con isole basse e mare cristallino ma la quiete viene interrotta da un’intensa attività vulcanica. Prima in condizioni subacquee, poi anche in condizioni subaeree, grosse quantità di lave e prodotti vulcanici vengono riversati sui fianchi delle isole e sui fondali del mare dolomitico e lentamente col passare dei millenni si raggiunge l’attuale visione del territorio, proprio queste guglie rocciose risultano essere il materiale più antico di tutta la zona.
Torri del Vajolet (2.821 m s.l.m.) sono sette guglie calcaree che si ergono al centro del Gruppo del Catinaccio e di cui la più alta viene detta Torre Principale. Sono state conquistate alpinisticamente sul finire dell’800.
Qui ci si gode il sole sulla neve prima di lanciarsi in grandi discese sulle piste del Ciampedié
La storia alpinistica del Catinaccio delle Torri del Vajolete dei suoi rifugi comincia nel 1874, Nel 1910 si cominciò così ad attrezzare con pioli di ferro e funi metalliche la gola del passo Santner per facilitare l’accesso alla conca del Vajolet, dove il fassano Pederiva eresse nel 1929 una capanna che successivamente fu acquistata ed ampliata dal celebre scalatore di Pozza Tita Piaz ( conosciuto come -Il diavolo delle Dolomiti) cui diede nome la Gartlhütte o Rifugio re Alberto 1° in omaggio al celebre re belga che compiva le scalate dolomitiche al suo fianco
andiamo su con loro?
Siegfried Messner, fratello del celeberrimo alpinista, esploratore, scrittore altoatesino Reinhold Messner , noto per essere l’unico uomo al mondo ad avere conquistato tutte le vette sopra gli 8.000 metri ( ben 14 ) per avere riportato in auge l’arrampicata libera e per avere scalato la vetta dell’Ewerest senza il supporto dell’ ossigeno, è morto qui nel 1985 precipitando mentre scalava la cuspide centrale del Vajolet
una splendida e spettacolare tradizione del Trentino-Alto Adige è quella di organizzare concerti soprattutto di musica classica, in altura davvero ci si sente più vicini al cielo con la musica che sembra appartenere alla natura ed entrare a far parte intima di te stesso
luglio 2013, impresa dello slackline-rider altoatesino Amin Holzer, che nel 2012 a 24 anni ha conquistato il Guinnes per la più alta traversata al mondo su una fettuccia a 5.ooo metri ( mammaaaaaaaa!!!!) sul Mutzaghata in Cina
qui sotto, invece è lo spettacolo della catena del Rosengarden e su in alto a destra la cima delle Torri del Vajolet che mi affascina e sorprende sempre con scenari diversi, ogni volta che mi affaccio alla terrazza che guarda a sud-ovest della mia casa-scattata con un vecchio cell..he he-
immaginiamo questo territorio qualche centinaio di anni fa quando i minuscoli paesini di queste solitarie vallate vivevano isolati immersi nella neve per lunghi mesi. Rintanati nei masi scaldati da un grande fuoco mentre fuori infuriava la tormenta, le notti si animavano di racconti fantastici con gnomi, elfi, fate, aguane, e bellissime leggende venivano tramandate di generazione in generazione
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Una straordinaria passeggiata che dura diversi giorni fermandosi di rifugio in rifugio per la notte chiamata appunto ” trekking delle sei leggende”, dove ad ogni sosta la guida ne racconta una,
anche io voglio raccontare in questa prima sosta, forse la più famosa, la leggenda della Figlia del sole, da cui è nato il più celebre canto alpino conosciuto in tutto il mondo ” La montanara”
Soreghina era una principessa la cui vita dipendeva dalla luce del sole; era costretta, secondo una profezia, di notte o nei giorni di cattivo tempo e senza la luce del sole, a dormire per non morire; ella sarebbe morta all’istante se fosse rimasta sveglia al buio.
Un giorno mentre Soreghina si trovava in mezzo ai prati trovò disteso a terra un giovane privo di sensi e gli fu prestato soccorso. Questo giovane era un valoroso guerriero chiamato Occhio della Notte, scacciato dal regno dei Fanes perché, innamorato della principessa Dolasilla, aveva osato chiederne la mano al Re. Nella sua fuga precipitò da una rupe sopra la Val di Fassa.
Durante il periodo delle cure prestate da Soreghina; i due giovani s’innamorarono, si sposarono e conducevano una vita felice. Soreghina abitava con Occhio della Notte in una capanna di legno, situata nel punto più soleggiato di una radura di fronte al monte Vernèl.
I giorni felici, però, trascorsero veloci ed ecco arrivare l’autunno con le prime nebbie e nevi sulle cime. Nel pomeriggio di una fredda giornata giunse alla casa degli sposi un guerriero straniero, amico di Occhio della Notte.
I due uomini parlarono a lungo in disparte e Soreghina fu presa dalla curiosità di ascoltare i loro discorsi. Così si avvicinò alla porta della loro stanza e sentì le parole che sottovoce Occhio della Notte rivolgeva all’amico: egli si sentiva legato a Soreghina da devota ed eterna riconoscenza, ma portava sempre indelebile nel cuore l’immagine della principessa Dolasilla.
L’amico se ne andò quando era già notte ed Occhio della Notte cominciò ad essere preso dal rimorso per il suo sentimento nascosto, un tradimento verso la dolce Soreghina. Allora, pentito della sua mancanza di lealtà, volle andare a vedere la sposa che sicuramente dormiva profondamente, come sempre, nel cuore della notte.
Aprì la porta, e Soreghina, che si era appoggiata per ascoltare senza curarsi del passare del tempo, gli cadde tra le braccia senza vita. Era, infatti, giunto il buio della notte che l’aveva sorpresa ancora sveglia; inesorabile la profezia si era avverata. A nulla valsero le grida di dolore di Occhio della Notte che le chiedeva disperatamente perdono.
chissà perché quasi tutte le leggende hanno un triste finale…vorrei poterlo cambiare, solo un pochino, pensando che l’anima della dolce Soreghina morta per amore e figlia del sole, riposi in una piccola stella alpina e che possa così ritornare col sole e con la buona stagione su quei monti incantati che la videro sposa felice.