il Palazzo Comunale, chiamato anche nuovo Palazzo del Podestà o Palazzo del Popolo e la torre Grossa, salendovi in cima si ha un panorama mozzafiato!
Il Palazzo Comunale, sede del governo di San Gimignano, fu costruito nel 1288. Ampliato nel 1323, divenne sede del comune dopo che esso aveva avuto luogo nel vicino Palazzo vecchio del Podestà, . Al primo piano è in bella mostra un terrazzo che poggia su mensole antiche, dal quale il podestà parlava alla folla. L’edificio ospita il museo civico dal 1852, dove sono esposte grandi opere dei maggiori artisti fiorentini e senesi del XIII e XVI secolo
fra cui spiccano il pregiatissimo e famosissimo crocifisso ligneo di Coppo di Marcovaldo
i “tondi” dell’annunciazione di Filippino Lippi
La sala Dante deve il suo nome al breve soggiorno del Poeta del 1300, quale ambasciatore della Repubblica Fiorentina egli perorò davanti al podestà e al consiglio generale la causa di una lega guelfa Toscana.
La sala è decorata dalla grandiosa Maestà di Lippo Memmi (firmata e datata 1317) ispirata a quella più famosa dipinta dal cognato Simonr Martini nel Palazzo Pubblico di Siena
lo splendore degli ori nelle aureole dei santi e degli angeli illumina l’azzurro della Maestà
impossibile darvi sia pure una piccola visione di tutti i tesori qui esposti…( perché non venite a vederli di persona ? 🙂 questa è la camera del Podestà
si trattava mica malino, no?la porta è vecchiotta va bhe, ma bella rinforzata
ed ora qualche magica visione della strabiliante architettura del chiostro interno
ogni volta che passo non mi sogno nemmeno di dimenticarmi di fare incetta di qualche bellissimo pezzo di ceramica che qui, ommioddio, sono davvero da urlo!
attraversata tutta la città da sud ovest ora siamo a nord est, ed eccola Porta San Giovanni con il suo consueto affollamento di turisti
il sogno medioevale sta per finire
e facendo il giro esterno delle mura
ritornerò a recuperare il meno romantico destriero metallico e rombante del nostro secolo
riappropriandomi della realtà
eppure… non voglio completamente distaccarmi dalla fiaba e aspetto la notte in una piccola osteria fuori porta in attesa della magica visione delle belle torri alte e fiammeggianti…un modo più dolce per un arrivederci
nello spettacolo di un favoloso tramonto si stagliano le torri di San Gimignano, miraggio di un tempo antico che di bellezza fece incetta e canto
Muto è il tempo
Muto è il tempo che scavalca l’ombre
si tace e non risponde
ma per lui la storia canta e si veste dei colori
delle belle torri che in San Gimignano
sulla bocca della sera, di un tramonto rosso
si fanno bandiera
angeli o demoni cosa saranno, quegli stracci
di nubi sfilacciate che ramazzano l’orizzonte?
In quest’ora del vespero la terra è fatta di cielo
non ha nido la notte e tacciono le stelle
muto è il tempo che scavalca l’ombre.
Ventisqueras
visione o sogno? le colline toscane sono tutto questo, e forse nei pressi di Sangimigrano raggiungono la loro perfezione
compensati dai raggi del sole che penetrano come oro liquido negli spettacolari chicchi d’uva da cui spremuti, ha origine la favolosa Vernaccia di San Gimignano nettare prezioso di questi filari perfettamente allineati
L’origine del nome Vernaccia è piuttosto incerto, probabilmente prende il nome dal latino vernaculum (=del posto), altre ipotesi, come quella del poeta seicentesco Marchio Lucidi farebbero discendere il nome da Verno, gelido. Secondo il Vocabolario Treccani deriva invece dal toponimo Vernazza, borgo delle Cinque Terre, ove veniva prodotto un vino dallo stesso nome sin dal Medioevo.
. alla fine del sec XIII la Vernaccia era già un vino pregiato Dante nella Divina Commedia aggirandosi tra i golosi del Purgatorio, incontra Papa Martino IV reo di essere stato vinto troppo spesso dalla voglia di Vernaccia ( ‘mbriacone ha ha ) “ e purga per digiuno l’anguille di Bolsena e la Vernaccia” (Purg. XIV,19-24)
per motivi di lavoro percorro sovente questa strada in ogni stagione e spesso mi fermo per immortalare qualche visione che mi urge negli occhi, beh, potrei passare dalla superstrada sarebbe più agevole, ma preferisco alzarmi un’ora prima e non privarmi di questo insuperabile spettacolo. In autunno, quando già si è vendemmiato e le foglie delle viti ingialliscono coprendo d’oro i fianchi rotondi delle colline. nella solenne e splendida solitudine in’alto San Gimignano troneggia, sembra non lasciare nulla al caso che non si chiami perfezione
anche i girasoli quando cominciano a chinare il capo e ad intristire formano superbe macchie di colore
sul far della sera il sole ci saluta dai tetti dei magnifici rustici in pietra, talvolta sbuffi di nuvole rosa fanno l’atmosfera surreale
lo spettacolo dei colori che cambiano lascia senza respiro
stessa meraviglia ci coglie salendo dal versante senese
e ogni più piccolo dettaglio sembra posato dalla mano di un grande artista in totale armonia con ciò che l’uomo ha creato
ci stiamo avvicinando lentamente alla straordinaria città cristallizzata in vestigia medioevali, premiata dall’ Unesco come patrimonio universale dell’ umanità,
al tempo del suo massimo splendore era una tappa ( Mansio) della storica via Francigena che Sigericoarcivescovo di Canterbury percorse di ritorno dal suo pellegrinaggio a Roma verso l’Inghilterra nel 990/994 circa
fu lui per primo a chiamarla Sce Gemiane dal nome di un santo cui era particolarmente devoto e che ora è patrono della città.
Avvicinandoci si fraziona l’intero, emergono e si stagliano i contorni, mi colgono emozione e stupore, come la prima volta che la vidi da bambina
altere nella loro veste di pietra le torri ci parlano nel loro linguaggio arcano, ormai delle 72 storicamente costruite ne restano soltanto 16, e questo ci fa pensare come doveva presentarsi il panorama di allora!
da ogni angolazione le torri esaltano tetti artisticamente irregolari
in una sera di nebbia restai attonita ad osservare, ero convinta che da uno dei vicoli potessero uscire cavalieri medioevali con l’armatura argentata e la spada sguainata, non per battagliare ma per cacciare la nebbia che m’infastidiva…ma che razza di idea, ha ha ha
epperò! dovete ammettere che non del tutto vaneggiavo! ebbene li avevo visti i cavalieri poco prima, guerreggiare in in affresco medioevale del Palazzo Comunale sì, sì!
in questo post ho voluto che tutto il fascino dei diversi panorami fossero in grado di condurvi per mano all’interno della città: parlerò di storia ed arte, nel grande splendore che contorna questa meraviglia toscana e universale, visitata ogni anno da una moltitudine di turisti provenienti da ogni angolo del mondo 🙂 a presto, allora
Non si può iniziare un post su Bruges senza un’immagine dei suoi canali, anche se saranno altri gli argomenti di cui parlerò : un quadro di Jan Van Eyck ( Maastricth Belgio 1395 circa- Bruges 1441 ) che fa parte stretta della storia della città e delle tradizioni fiamminghe ma poi si amplia per sconfinare in quella che può essere quasi definita un Europa unita medioevale. La storia non è una stella fissa ma una cometa con mille aghi di ghiaccio che prima di spegnersi percorre un tragitto lunghissimo che sfiora mondi diversi…una scusa la mia per divagare su uno degli argomenti da me preferiti: la pittura? non so, ma non sono capace se non di scrivere quello che mi fa piacere sorry! 🙂 🙂
Nel primo post su Bruges ho già parlato dell’inizio e dei motivi del declino della città, nel XV secolo la crisi non fu subito evidente e in quel periodo la scuola di pittura fiamminga fu all’apice del suo fiorire grazie ad artisti eccelsi come Jan Van Eyck e Hans Memling, i cui dipinti dai colori luminosissimi e con ricerca accurata dei particolari sembrano condurci direttamente dai quadri dentro la storia. Il ritratto dei coniugi Arnolfini che è uno dei più ammirati e preziosi della National Gallery di Londra venne dipinto a Bruges, dove i ricchissimi coniugi commercianti in tessuti, originari di Lucca vivevano come agenti della famiglia Dei Medici di Firenze
e mentre il corso dell’arte correva impetuoso lo Zwin il canale naturale che collegava Bruges al mare continuava inesorabile ad insabbiarsi, a nulla valsero i tentativi di aprirne altri artificialmente.Questo “piccolo” grande capolavoro di olio su tavola di rovere datato 1434 è riuscito ad influenzare grandi pittori da Velasquez a David Hockney.
Dietro la coppia un grande letto rosso che sembrerebbe strano doversi trovare in una sala da ricevimento, certo non sarebbe stato utilizzato per dormire, ma per mostrare agli ospiti che il padrone di casa aveva la possibilità di esibirne uno così importante…un status symbol, come si direbbe oggi.
il ritratto è diventato esso stesso un simbolo del matrimonio, ma il significato della scena e dei protagonisti sono ancora incerti, pur essendo uno dei quadri più studiati dell’intero patrimonio artistico mondiale
All’amica incinta
Due boccoli dorati
-come ali divaricati-
scivolano dalla crocchia
sopra al seno in gioco di luce
la pelle si sorprese
ad impregnare tutto il livore
del labbruzzo imbronciato.
Fu
leggero smarrimento
d’irradiazione, d’assorbimento
ad assopirti il grembo
srotolando
un gomitolo fatato
dal concepimento adagiato
sul boschetto vellutato.
Ventisqueras
un curioso quanto affascinante accostamento è stato fatto da un giornalista acuto ( e appassionato d’arte) con la celebre coppia del cinema Brad Pitt e Angelina Jolie, da notare con stupore il colore della veste delle due dame, perfettamente simile!
i sandali rossi sul pavimento erano un elemento alla moda per una donna benestante, il cuoio tinto rappresentava un grande lusso, mentre gli zoccoli di legno da uomo era tipico olandese di chi conduceva una intensa vita di lavoro
Lo specchio, elemento molto importante nella pittura fiamminga era anch’esso simbolo di ricchezza, ma forse anche la chiave per l’interpretazione del dipinto, un vero riflesso della storia, forse testimoni di nozze si mostrano altri due personaggi, amici della coppia elegantissimi nelle vesti sontuose.
Si diceva che Van Eyck fosse un alchimista, non c’è meraviglia, in questo dipinto la magia traspare e non solo in senso simbolico
sopra lo specchio una scritta in latino pontifica “Johannes de eyck fuit hic 1434″ Jan Van Eick è stato qui, un modo piuttosto originale per firmare un quadro no, ?
solo una candela accesa nel candelabro e dovrebbe simboleggiare la fiamma dell’amore, nelle Fiandre una usanza vuole che nella prima notte di nozze resti solo una candela accesa nella stanza-
la coroncina di perle ambrate a fianco dello specchio rappresenta un rosario chiamato ” paternoster” dono che spesso il marito faceva alla sua sposa, tipico prodotto di Bruges, Van Eyck forse faceva già una specie di pubblicità occulta ad una industria locale che le esportava tramite Arnolfini ( niente di nuovo sotto la luce del sole! )
La spazzola appesa al letto rappresenta la tenacia e l’umiltà della sposa
le arance erano una vera rarità all’epoca, vera prelibatezza, importata dal sole del nostro sud, molto apprezzate non solo come frutto, ma se ne aggiungeva la scorza per profumare i cibi, rallegrando con il loro tocco colorato i rigidi e grigi inverni fiamminghi. Prendo lo spunto da questa immagine per sospendere un attimo l’analisi del quadro e dare uno sguardo fuori dalla finestra
era forse questo l’incantevole scenario che si apriva davanti ai loro occhi?
e chissà se anche il loro cagnolino si affacciava come questo forse puntando le oche giù nello Zwein?
he, sì, le ha viste acquattate a prendersi il sole dall’altra parte del canale…e avrebbe magari, voluto dargli una bella strapazzata!Grifone di Bruxelles, eccolo qua il loro piccolo amico, discendente di una stirpe di terrier delle Fiandre allevati per la cattura dei topi…che ce ne dovevano essere in quei canali. he?!!Il piccolo cane simboleggia la fedeltà comune in molti paesi europei ( la bella Ilaria del Carretto ne ha uno ai piedi nel magnifico sarcofago del Duomo di Lucca )
il mistero della coppia di sposi: si suppone che essi fossero Giovanni Arnolfini ( originario di Lucca ) vissuto a Bruges nel XV secolo con altri membri della famiglia, che si sarebbe unito in matrimonio a Giovanna Cenami, proveniente da un’altra ricchissima famiglia lucchese nel 1426, si ipotizza che il ritratto sia stato fatto in occasione del matrimonio che avrebbe avuto come testimone proprio il pittore e le due figure riflesse nello specchio, la seconda ipotesi è molto più triste, che fosse stato concepito come memoriale per la donna morta nel dare alla luce il proprio figlio.( anche questo particolare mi ricorda tanto la mia adorata Ilaria )
solo i Re, i nobili, persone di alto lignaggio o comunque ricchissime potevano commissionare un quadro del genere a un artista così rinomato. Van Eyck e Arnolfini erano cortigiani del Duca di Borgogna Filippo il Buono, si presume che per avere questo ritratto ci fosse voluto un permesso speciale del Re che riteneva l’artista di sua esclusiva proprietà.
Questa coppia ha ottenuto attraverso un ritratto quello che i faraoni volevano con la mummificazione: un passaporto per l’eternità
ci si può anche domandare come mai un’opera così famosa non sia sfruttata commercialmente dalla città di Lucca, ( numerose volte qui menzionata ) tanto più che l’Arnolfini lasciò un legato nel suo testamento ( letto a Lucca nel i474 )
dove chiedeva che gli esecutori curassero la fondazione di un beneficio per una messa quotidiana nella chiesa di San Romano in Lucca. ( Se qualche lucchese mi legge….potrebbe prendere spunto )
Volevo anche ponderare su quanto la ricerca dei particolari di un celebre quadro abbia integrato la conoscenza di usi e costumi medioevali della città di Bruges
chiudo con due altri grandi capolavori di Van Eyck dedicati ad una tenerissima e assolutamente regale Vergine Maria col bambino
Canto XXXIII – Dante Alighieri
Vergine Madre, figlia del tuo figlio,umile e alta più che creatura,termine fisso d’etterno consiglio,tu se’ colei che l’umana naturanobilitasti sì, che ‘l suo fattorenon disdegnò di farsi sua fattura.Nel ventre tuo si raccese l’amore,per lo cui caldo ne l’etterna pacecosì è germinato questo fiore.
scusate se oso mettere il mio pseudonimo dopo uno dei più acclamati e conosciuti cantici di Padre Dante, ma devo pur prendermi responsabilità di sottoscrivere quanto scribacchiato …:-)
che come vedi ancor non m’abbandona Dante* Inferno *
Ho fame della tua bocca, della tua voce, del tuoi capelli e vado per le strade senza nutrirmi, silenzioso,non mi sostiene il pane, l’alba mi sconvolge, cerco il suono liquido dei tuoi piedi nel giorno .Sono affamato del tuo riso che scorre, delle tue mani color di furioso granaio,ho fame della pallida pietra delle tue unghie,voglio mangiare la tua pelle come mandorla intatta.
Voglio mangiare il fulmine bruciato nella tua bellezza,
Pablo Neruda tratto da ” Ho fame della tua bocca
Rivelati-come fosse l’esigenza
di un mattino, al trasgredire incauto della luce
mentre
si spengono di stelle gli occhi
in un sorriso
si fan silenzio i gemiti dell’amore
-il profumo della rosa all’olfatto dell’esteta-
si mischiano gli aromi, diventano ricordi
e i soli si sfiancano d’infinito.
Ventisqueras ( Rivelati )
Amore e Psiche sono i protagonisti di una soria narrata da Apuleio ne” Le Mrtamorfosi “anche se si fa risalire ad una tradizione orale tramandata fino all’autore.Nella vicenda Psiche una bellissima donna mortale paragonata a Venere, diventa sposa di Amore.Cupido che si presenta a lei sempre durante la notte, non sa che lui è un Dio e pertanto immortale. Scoperta la vera identità dello sposo su istigazione della sorella invidiosa, è costretta prima di ricongiungersi a lui a effettuare una serie di prove, superata l’ultima ottiene l’immortalità, questo racconta Apuleio, ma altre fonti invece dicono che sia morta prima di superare lultima prova.
ebbene, sì, ho mischiato lo strabiliante neo-classico del Canova ( la scultura si trova al Louvre) con Il rocchettaro Elvis Presley…ma che ci volete fare la canzone è una delle mie preferite, Elvis pure, e poi potrebbe essere un rappresentare un magnifico Cupido moderno portatore di ciuffo stratosferico, ora sono anche tornati di moda.. ( i ciuffi, dico..i Cupidi un po’ meno ) la storia si ripete ha ha ha, non vi pare?
Un tantino corto come post? ma è così colmo della piena luce e bellezza di queste immagini che non mi sembrava opportuno aggiungere altro, anzi, sì una piccolissima cosa, un pensiero- ringraziamento ancora con immagini dal mio giardino, visto che le altre foto vi sono piaciute.
Certo non vi potete meravigliare se dopo tutto il mio amore per il Canova ne tengo una riproduzione anche qui! E’ la “Venere Italica”
e questi giaggioli bianchi si intonano al candore del marmo, li adoro, sembrano farfalle giganti a dondolarsi sul loro stelo incerte se restare o spiccare il volo contro l’azzurro-
Su quello scoglio piatto
stravisto d’albe e tramonti a Bocca d’Arno
assorbo con lo sguardo un tessere fitto d’onde
trame obese in strati azzurri, immobili.
Ancora ti siedi
mentre il vento con carezza fonda
ti scompiglia i capelli.
Un fruscio dal trabucco, guizzano d’argento
i pochi pesci.
Copre il colore dei tuoi occhi il riflesso del sole
-come rabbrividiscono le nuvole!-
Si porge una velata parola
bloccata
là dove ferme spuntano le lacrime.
Lento
struscia l’aria un gabbiano
a sollevarsi un bavero di piume
simile ai mie pensieri che si stringono
in un cappotto di abbandoni
mentre l’ombra tua sullo scoglio si cancella
piano.
Ventisqueras
per ingrandire cliccare sulle foto
L’Arno è il fiume della mia vita, srotola le sue anse argentate attraversando paesaggi di sogno da me vissuti ed amati, e sul filo del ricordo corre ad abbracciare il Mare Tirreno nella suggestione infinita di Bocca d’Arno , incoronato dalle Alpi Apuane sullo sfondo, grande attrattiva i cosiddetti ” retoni” o trabucchi postazioni fisse di pesca che conferiscono unicità al già incredibile paesaggio
…. sembra
questa grande rete
insieme con la neve dei monti
pescare sogni, pescare sogni…
e il mare in burrasca sa
che gli eroi sono fossili dimenticati
morti ai limiti dei sentieri della verità
e vanno indietro nei secoli
la gloria della grande Pisa
Repubblica del mare, occhi perduti
nello scrosciare dell’onde
fra l’icone dei pesci e i nidi di alghe
a ricercare
armature senza ossa e senza pioggia
perse nella battaglia della Meloria
e s’aggiunge fango sulla pietra dura
un ronzare come voce d’arnia
sempre mi tocca
col lontano silenzio degli astri.
mi raggiunge e mi porta lontano
una vela bianca lo stupore dei secoli a svelare.
Ventisqueras
un grande balzo e lasciando indietro le ombre della storia torniamo ad oggi: Marina di Pisa dalla riva sud dell’Arno con le grandi dighe frangiflutti a proteggere l’abitato
e lo splendido porto turistico inaugurato nel 2013
Pisa, la vedova del mare
un tempo il mare Tirreno arrivava fino alle porte di Pisa , nel medioevo quando Pisa era una delle quattro repubbliche marinare più potenti, la Cittadella era l’antiporto della città
qui arrivavano le merci dall’oriente e partiva la potente flotta pisana per la conquista dei mari limitrofi, si trova nella parte di tramontana (a nord dell’Arno) ed era un’antica fortificazione eretta all’estremo delle mura cittadine, verso il mare. Nei pressi della cittadella si trovavano, e se ne trovano tutt’oggi i resti, gli arsenali repubblicani e quelli medicei, lì venivano varate le navi Pisane: agli inizi del Duecento, infatti, in seguito alle numerose ed importanti vittorie riportate dalla sua flotta in tutto il bacino del Mediterraneo, la Repubblica Pisana riunì in unico ampio spazio le intense attività cantieristiche.
Delle strutture duecentesche oggi restano gli archi di mattoni inseriti nel muro di difesa lungo l’Arno, oltre alle trecentesche arcate tamponate dei capannoni
la flotta pisana in quel periodo soprattutto difendeva le coste dalle incursioni e dalle cruente razzie dei pirati Saraceni, che dalle coste della Sardegna o della Corsica effettuavano rapide scorrerie, in questo fu alleata anche con Genova e si deve all’unione delle due grandi repubbliche marinare se le coste del tirreno potevano stare relativamente tranquille
in questa immagine nel contorno di un rosso tramonto si delineano i pinnacoli gotici
della bellissima chiesa di Santa Maria della Spina
subito a nord della città di Pisa l’Arno scorre fra visioni incantevoli della pianura pisana
qui in prossimità del piccolo centro di Caprona si trova la storica torre degli Upezzinghi, si erge sulla sommità di una collina quasi completamente consumata da una cava. Recandosi da Pisa verso il monte Serra per la SP. 2 vicarese è impossibile non rimanerne colpiti , in un’irreale precario equilibrio,
La torre è quel che resta di un antico castello che dominava la valle dell’Arno fino a Pisa e alla foce. Si dice che da questo castello Dante Alighieri con le milizie ghibelline alleate Di Firenze e Lucca partecipasse alla battaglia di Cascina e prima, come osservatore, da quassù scrivesse i famosi versi citati nell’ Inferno all’interno della divina commedia contro l’odiata fazione guelfa di Pisa
Ahi Pisa, vituperio de le genti
del bel paese là dove ‘l sì suona,
poi che i vicini a te punir son lenti,
muovasi la Capraia e la Gorgona,
e faccian siepe ad Arno in su la foce,
sì ch’elli annieghi in te ogne persona!
molto irriverente contro di noi, vero? Ma il popolo pisano secondo a nessuno per arguzia e salacia la cambiò così:
Ahi Pisa, vita e impero delle genti!
questa a Padre Dante noi pisani non gli si perdona davvero, he he
….e poi c’è anche il detto.” meglio un morto in casa che un pisano all’uscio”siete avvisati…ha ha, ma questa è storia vecchia con i lucchesi e i livornesi, queste antiche città perennemente in lotta fra di loro ed anche ai giorni d’oggi è rimasto un sano campanilismo antagonistico ormai rivolto quasi esclusivamente alle contese delle squadre di calcio
ma torniamo là da dove siamo partiti alla foce dell’Arno, dove il mare come un amante pentito che ha tradito la sua bella, sta cercando di riconquistarla e con tua la sua forza cercherebbe di avanzare nell’interno, per questo marina di Pisa è protetta da grandi barriere frangiflutti
ma prima di salutarvi ancora qualche immagine di questo splendido paradiso